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con i canoni dell’oratoria tradizionale della scuo-
la napoletana legata ai nomi di Nicola Amore,
Emanuele Gianturco, Gaetano Manfredi, Enrico
De Nicola e Giovanni Porzio: Altamura fu un an-
tesignano dei tempi nuovi, inaugurò una forma
di oratoria meno aulica e meno infarcita di or-
pelli letterari, introducendone una fatta di logica,
di dialettica, di sillogismi, di tecnica giudiziaria
ed anche di battute umoristiche tali da sdram-
matizzare le situazioni più cruente ed a tenere
desta l’attenzione dei giudici, riducendo così il
fatto umano alla sua vera ed intima struttura. An-
toniovito Altamura segnò così una vera e propria
linea di demarcazione con il passato, anticipando
i tempi moderni, secondo cui i nuovi paradig-
mi dell’arringa risultarono costituiti dalla sintesi e
non dai virtuosismi retorici. Egli divenne nel foro
di Taranto il vero caposcuola di questo nuovo
stile eloquente che colpiva in pieno il cuore del
processo così che la vicenda umana ne usciva
chiara e limpida, sia nei moventi a delinquere, sia
nella vera entità del delitto medesimo. Oltre che
per l’innato senso dell’umorismo, che lo aiutava
a risolvere le situazioni più imbarazzanti, egli va
ricordato anche per la grande disponibilità nei pianto dei suoi colleghi che avvertirono con la
confronti dei colleghi più giovani, sospinti verso sua scomparsa un vuoto incolmabile. Di grande
di lui da una irresistibile forza di attrazione, per cultura umanistica, di una generosità profonda, di
riceverne l’insegnamento, che egli era felice di una affabilità proverbiale, sempre pronto alla bat-
dare generosamente. Campione di indipendenza tuta allegra, lasciò orfani dei suoi insegnamenti i
e della libertà di pensiero, amò e onorò la toga al suoi amici più cari tra cui il poeta Michele Lentini,
di là e al di sopra di tutte le sue passioni. “Don il dott. Stefano Imperio, il dott. Vito Carucci e il
Antoniovito” (come veniva usualmente appellato suo allievo prediletto l’avv. Tommaso Imperio.
nel foro quale attestazione di stima), si spense,
colto da arresto cardiaco, il 7 maggio 1970, tra il Antonio Altamura
Ammirato Scipione (Lecce, 27 settembre 1531 - Firenze, 4 gennaio 1601)
torico, filosofo, poeta e oratore sacro, nacque Dopo aver vestito l’abito ecclesiastico, a Roma,
Sda una famiglia di nobili origini toscane. tentò invano di raccomandare, presso papa Giu-
A quattordici anni si recò a Brindisi dove stu- lio III, il vescovo di Lecce Braccio Martello, che
diò retorica e, due anni dopo, giunse a Napoli stimava molto, per fargli ottenere la porpora car-
per conseguire il dottorato in diritto. Ma lì, per dinalizia.
un quadriennio, si interessò soprattutto di studi Dopo poco, a Venezia e poi a Padova, tentò
umanistici, frequentò i circoli più prestigiosi de- ancora una volta, ma senza fortuna, di completare
gli intellettuali napoletani e fece conoscenza con gli studi giuridici. Più che altro si distingueva per
autorevoli personalità della cultura partenopea, essere un fine erudito, uno scrittore dalla penna
con Bernardino Rota (al quale intitolò il dialogo facile, tanto che nel 1558 a Lecce fondò l’Acca-
Delle Imprese, più volte ristampato), con Angiolo demia dei Trasformati (motto: «Melior saeclorum
Di Costanzo (cui dedicò più tardi un capitolo au- nascitur ordo»), di cui si fece principe col nome
tobiografico in terza rima). di Proteo. Molto probabilmente di quel periodo